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Je suis Charlie

Un grido che unisce contro la barbarie che ci vuole dividere

Il 7 gennaio 2015 è una data che rimarrà profondamente impressa nelle nostre teste. A Parigi due terroristi hanno fatto irruzione nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, hanno aperto il fuoco e lasciato dietro di loro dodici corpi senza vita. Una strage che aveva come fine ultimo vendicare Maometto, uccidendo quelle persone che lo avevano disegnato nelle loro vignette e così facendo avevano peccato di blasfemia, perché la religione mussulmana considera un grave peccato raffigurare il profeta. Uscendo dalla sede del giornale, in pieno centro della capitale francese, dopo aver ucciso alcuni dei più famosi esponenti della rivista, i due terroristi, incappucciati in un nero passamontagna, hanno alzato al cielo slogan inneggiati Allah. La vicenda, che si è protratta per alcuni giorni con la serrata caccia ai due assalitori e un’altra strage in un supermercato kosher in un quartiere della stessa città, ha tenuto col fiato sospeso il mondo intero. E si è conclusa con la morte violenta di tutti e tre gli assassini, tre cittadini francesi di origine araba. La condanna dei fatti, il cordoglio e lo sgomento sono stati quasi unanimi. Gran parte del mondo si è unita al dolore di Parigi, sfilando materialmente o soltanto con il cuore in una grande marcia di

solidarietà, che si è mossa per le vie cittadine sotto un unico slogan: Je suis Charlie. Uno slogan che aveva un puro e semplice significato: il mondo non si farà sottomettere dal terrore, la paura non si avvinghierà ai cuori delle persone. Un messaggio potente, una risposta unita contro chi aveva cercato di minare la libertà del mondo occidentale. Perché l’intento dei terroristi era proprio quello di seminare il panico, di istillare gocce di velenoso timore, di azzittire un giornale perché osava contravvenire alle loro minacce. Charlie Hebdo è da anni nel mirino di questi sedicenti mussulmani, per le sue reiterate illustrazioni che osavano farsi beffe della loro religione e del loro profeta. Ma quelli di Charlie non si erano lasciati intimidire  e avevano continuato  imperterriti a perseguire le loro idee. Qualcuno potrebbe definirla follia. Ma era, e speriamo sia ancora in futuro,  soltanto  resistenza.   La voglia  di resistere,  di non farsi piegare,  di non

lasciarla vinta a chi gli vomitava addosso terrore ed odio. La voglia di tenere alto il vessillo della libertà di stampa ed espressione, il diritto di poter dire ciò che si desidera. Alla fine la disputa si racchiude tutta qui: libertà contro barbarie, una matita contro un’arma. E’ per questo fondamentale motivo, perché ne và della nostra civiltà e di tutto quanto siamo riusciti a conquistare nei secoli, che tutti ci siamo sentiti Charlie. Tutti, nessuno escluso: francesi ed italiani, tedeschi ed inglesi, europei ed americani, e soprattutto arabi e mussulmani. Tutti hanno voluto prendere le distanze da questa barbarie mascherata dalla religione. Certo alcuni hanno comunque protestato perché raffigurare il profeta è pur sempre blasfemo e questo ogni buon mussulmano lo sa. Ma l’efferata violenza del gesto ha compattato quasi tutti contro quel gruppetto di estremisti che ha terrorizzato Parigi e terrorizza tutti i giorni il mondo intero. Siano essi dell’Isis, affiliati ad Al Qaeda o a Boko Haram, o soltanto ragazzi, a volte anche nati e cresciuti in Europa, convertiti a suon di umiliazioni e lavaggi del cervello. Non sono poi molti questi invasati, ma sono decisi, ben organizzati,  capaci di colpire e fare male,  ed è per questo che non vanno assolutamente  sottovalutati.  La  loro tattica  è  semplice:

 diffondere paura, creare odio e divisioni, e guadagnare così facendo sempre nuovi adepti allo loro causa. E piano piano sembrano riuscire ad insinuarsi come un cancro fra le membra del mondo occidentale. Lo dimostra il recente sviluppo di partiti che cavalcano sentimenti anti islamici, il loro continuo guadagno di consensi. Consensi che si basano sulla congiunzione di due parole: fondamentalista e mussulmano. Ai loro occhi ogni seguace dell’Islam diventa quindi un potenziale nemico, un pericoloso terrorista pronto ad entrare in azione e fare strage di infedeli. Senza ragionare per niente sulle conseguenze che tale politica può portare. Perché diffondere odio significa respirare risentimento e rabbia, e percorrere questa strada conduce solo ad estremizzare i rapporti, coltivare razzismo per raccogliere vendetta. Ed è proprio questo a cui puntano i jihadisti, trasformare il mondo occidentale in una polveriera, trovare nuovi martiri fra giovani arrabbiati, stanchi di essere maltrattati e ghettizzati. Non cadiamo in questo tranello, manteniamoci forti ma solidali, capaci di discernere il giusto dallo sbagliato, il male dal bene. Restiamo vicini ai tanti bravi mussulmani che abitano nelle nostre città e nel mondo intero, non scagliamo contro di loro la nostra rabbia. Non trasformiamoli in pericolosi nemici.  

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