“Il potere logora chi non ce l’ha” recita una delle massime più famose di Andreotti. E non si limita a questo. Perché il potere strega, irretisce, avviluppa le persone. E’ come una droga terribile e seducente, che una volta provata è difficile lasciare. E questo è soprattutto vero in quei paesi dove la democrazia è più debole, dove è complicato far rispettare le regole, mentre è molto semplice cambiarle a proprio favore. La maggior parte dei paesi del mondo si dichiara democratica e viene governata da un rappresentante scelto dal popolo attraverso lo strumento elettorale. Al contrario esiste una minoranza di paesi governata da una dittatura, che può essere di stampo personale o guidata da un partito unico, in cui non esistono consultazioni popolari, e chi comanda sa che la sua leadership non ha alcun tipo di scadenza. A meno di improvvisi e bruschi scrolloni. Ma le due realtà, democrazia e dittatura, non sono due entità rigide e universali. Al contrario danno vita a una serie di sfumature capaci di riempire gli interstizi che separano una concezione dall’altra. Ma vediamo qualche esempio di come esistano innumerevoli livelli di gestione del potere e persone abili
nell’approfittare di uno stato di cose, per reiterarlo all’infinito. Partiamo dalla democrazia, pura e semplice, applicata alla lettera con regolari sessioni elettorali a suffragio universale in cui il popolo sceglie il proprio rappresentante. La quasi totalità dei paesi europei segue questo schema per definire a chi spetterà detenere il potere per il periodo prestabilito dalla legge, prima di una nuova tornata alle urne. E così funzionano, a parte qualche piccolo distinguo, i paesi così detti occidentali, dove con occidentale non si intende la posizione geografica sul mappamondo ma piuttosto uno stile di vita sviluppato e moderno. Fanno parte di questa cerchia paesi anche molto lontani fra di loro, sia geograficamente che culturalmente, come Stati Uniti d’America, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Dall’altra parte della staccionata stanno un gruppo di paesi indissolubilmente legati ad un sistema dittatoriale, in certi casi rappresentato da un singolo uomo, altre volte da un sistema più complesso. La Corea del Nord per esempio è comandata da una guida suprema, ad oggi Kim Jong Un, che sarà vita natural durante il sommo rappresentante del Partito Comunista Coreano. In Cina invece è il politburo del Partito Comunista Cinese a nominare, manco a dirlo fra le sue fila, il presidente e il primo ministro, che restano in carica per il tempo prestabilito, per poi avvicendarsi con altri compagni di partito. Nei due paesi di elezioni popolari nessuna traccia. Così come accade nella Cuba dei fratelli Castro o negli stati arabi governati da ricchissimi e intoccabili sceicchi. Questi gli estremi, vediamo adesso invece qualche esempio più interessante, dove il potere conquistato è diventato così appetibile e seducente da spingere ad adoperarsi per non restituirlo più indietro. Un caso non troppo lontano è quello di Putin, incontrastato zar di tutte le Russie, capace di farsi eleggere presidente per due mandati, lasciare il successivo alla sua marionetta Medvedev, da cui è stato nominato primo ministro, per poi riprendersi la presidenza ed iniziare il suo terzo mandato. Tutto nel rispetto delle regole della Costituzione, non fosse per la continua persecuzione dell’opposizione politica, dei giornali e delle televisioni critiche, che ne ha indebolito i ranghi e la forza, contribuendo ad eliminare la parola sconfitta alla continue candidature dello zar Putin. Spostiamoci adesso in Venezuela, dove per anni il potere è stato nelle mani di Chavez, che una volta eletto presidente ha modificato la Costituzione per permettere la molteplice rielezione del capo dello stato e conservare quel titolo e l’enorme potere che reca per altri tre mandati. Fino alla sua morte, che ha sancito di diritto il passaggio degli onori al suo delfino Maduro il quale, senza il carisma e il talento politico del suo predecessore, sta precipitando il paese nella confusione e non ha ancora definito una data per le nuove elezioni presidenziali, tanto è irretito e schiavo del potere. Altro folle esempio è la Thailandia, dove si alternano elezioni, forti proteste popolari e continui colpi di stato militari in una incessante lotta per accaparrarsi il potere. L’Africa dal canto suo rappresenta la summa dei reiterati tentativi di mantenere il comando di uno stato, di arricchirsi dismisura, di favorire la propria cerchia, disinteressandosi di tutto il resto. Non a caso spesso le elezioni negli stati africani si trasformano in vere e proprie guerriglie fra fazioni di etnie diverse, che sfociano anche in autentici combattimenti con tanto di vittime al seguito. Assicurarsi il potere è una posta in gioco troppo grande, troppo ambita, per non combattere e rischiare la vita. Robert Mugabe, padre padrone dello Zimbawe è forse l’esempio più lampante: al potere da oltre trent’anni, prima come primo ministro e poi come presidente, è ormai trapassato brillantemente nella categoria dei moderni dittatori, per la ferocia e l’ottusa caparbietà con cui conserva fra le sue grinfie il potere. Ma non è il solo, anche se recentemente qualcuno di quei bruschi scrolloni di cui si parlava al’inizio ha spazzato via alcuni presidenti cui il tempo aveva consegnato il gallone di dittatori: Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia, Ben Ali in Tunisia. Le primavere arabe sono state le artefici di questi terremoti politici, anche se solo per la Tunisia la favola sembrerebbe volgere al lieto fine della democrazia ritrovata. Mentre in Egitto un colpo di stato militare ha creato il suo nuovo faraone, nella persona di Al Sisi, e in Libia la lotta per la conquista dell’agognato potere ha sprofondato il paese in una completa anarchia di scontri, bombe, morti e disperazione. Si potrebbe dire che quelle nazioni non erano ancora pronte per una transizione democratica, ma non è solo così: ancora una volta la smania di potere è un nemico troppo subdolo da soverchiare e chi riesce a conquistarlo fa di tutto per tenerselo stretto. Altro esempio di primavera araba contro un tiranno ormai insediatosi al vertice del paese è quello della Siria, e ci spostiamo nel Medio Oriente. Assad incarna benissimo il delirio di onnipotenza che dà comandare e ha trasformato una protesta in una sanguinosa guerra civile, disseminando il suo paese di distruzione, morte e migliaia di profughi in fuga. E favorendo, nel caos creatosi, la nascita e il rafforzamento dello Stato Islamico, un gruppo di feroci fanatici che ha conquistato mezza Siria e parte dell’Iraq con la sua spietata politica di terrore, sgozzamenti e barbarie. Il tutto è ancora una volta orchestrato dall’incontenibile desiderio di potere e dall’incapacità di lasciarlo volare via lontano. Rimanendo in zona, altro curioso esempio è l’Iran, governato sì da un presidente eletto dal popolo in libere elezioni, ma comunque comandato da un Ayatollah, leader religioso degli sciiti e suprema guida del paese da quando la rivoluzione cacciò via un dittatore, lo Scià, e consegnò il controllo dello stato al più alto rappresentante della vita religiosa nazionale. Trasformando di fatto la nazione in una rigida Repubblica Islamica, severamente asservita ai dettami mutuati dalla legge coranica: dal velo per le donne alla proibizione di bere alcoolici, dalla persecuzione delle moderne mode occidentali alla pena di morte per amministrare la giustizia. Altra rivoluzione finita dalla padella nella brace! L’Azerbaigian è un’altra anomalia democratica piuttosto interessante. Infatti questo enorme paese caucasico è dominato praticamente dalla data della sua indipendenza dall’impero sovietico da una dinastia presidenziale: prima il padre Heydar Aliyev a cui, una volta deceduto, è succeduto il figlio Ilham, proprio come in un classico sistema monarchico del passato. Esistono poi tanti stati democratici che vivono ogni giorno con il rischio più o meno evidente di perdere la loro prerogativa, a seconda del grado di attrazione al potere da cui viene irretito il presidente di turno. Sono per lo più stati che hanno attraversato recenti e complicate traversie politiche, che hanno conosciuto la violenza di efferate dittature, che ancora camminano sul filo del rasoio come convalescenti a rischio di una brutta ricaduta. Come per esempio le nazioni del Sud America, in cui corruzione e lotta per il potere vanno a braccetto, anche se da qualche decennio si perpetua il rito dell’alternanza sancita dalle urne. Dove invece un rischio in senso autoritario è stato recentemente corso è la Turchia, in cui il presidente Erdogan, da anni ai vertici del potere, sognava una larga maggioranza elettorale per poter mettere mano alla costituzione e prolungare la sua carriera di leader. Il popolo però ha reagito di fronte a tanta tracotanza, regalando una vittoria dimezzata al suo presidente, impossibilitato con questo stato di cose a perseguire le sue losche intenzioni. Altre democrazie deboli, ma pur sempre democrazie sono l’India, un enorme paese turbolento e assai difficile da reggere, il Sudafrica, ancora orfano della figura carismatica di Nelson Mandela, l’unico che era riuscito nell’intento di unire tutte le forze della nazione. Oppure Israele, la cui debolezza si ripercuote nel controverso e spietato controllo sotto cui tiene relegato un altro stato, la Palestina, ormai riconosciuto come tale dalla stragrande maggioranza di nazioni del mondo. Da pochissimo sono state indette elezioni in Myanmar, la vecchia Birmania, dove per decenni la democrazia è stata sepolta sotto a una ferrea dittatura militare: La recente apertura è ancora guardata con diffidenza da tutti, anche se il clima generale è decisamente migliorato, tanto da proiettare il premio Nobel Aung San Su Kyi ad una possibile vittoria elettorale, dopo anni di arresti domiciliari per essersi opposta al regime dei militari. E forse sarebbe anche la volta buona di un governante non assetato di potere ma da buone e sincere intenzioni. La carrellata potrebbe continuare ancora in un continuo mutare di sfaccettature, macchinazioni e tentativi di poter raggiungere e conservare l’agognato potere. Una droga potente che necessita di una buona dose di forza e onestà per non rischiare di farsi corrompere l’anima e diventare suo fedele servitore.
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