Un’isola sospesa sul mare, isolata dal resto del mondo, regno di terra e fuoco. Una terra sublime e assoluta, dove l’uomo deve sottostare ai dettami di una madre natura austera e inospitale. Un mosaico di contrasti e visioni surreali: immensi ghiacciai che riposano su terribili vulcani, ribollenti pozze dai sentori sulfurei, zampillanti geyser, montagne innevate e mari di lava.
E poi acqua, tanta acqua: fiumi impetuosi e roboanti cascate, iceberg che brillano al sole e il mare, con le sue onde a circondare e proteggere questo microcosmo, alieno al resto del pianeta. Gli uomini che vivono qui, molto pochi in rapporto alla superficie dell’isola, hanno dovuto adattarsi alla particolare conformazione morfologica, occupando solo gli spazi lungo le coste, gli unici adatti a creare piccoli insediamenti. E per vivere si sono rivolti principalmente al mare, alla sua ricchezza ittica, capace di sostenere l’intera nazione, insieme agli allevamenti di cavalli e ovini, a rinforzare la tempra di questo popolo che ha sfidato la natura e adesso convive con lei in un leale rispetto. Viaggiarci attraverso è un puro piacere fatto di silenzi profondi e spazi immensi, nell’attesa che una nuova esplosione di meraviglia arrivi ad inondarci gli occhi. Perché le sorprese non finiscono mai su quest’isola che sembra uscita da una saga fantasy, creata da una mente prolifica e originale, capace di muoversi sui terreni fertili dell’immaginazione.
Partiamo da Reykjavik, la piccola capitale, adagiata su una placida baia, con un centro raccolto ideale per una tranquilla passeggiata. Le case in legno colorate digradano verso il mare, scendendo dalla collina dominata dalla bianca mole della chiesa di Hallgrimskirkja con il suo frastagliato campanile centrale che si staglia nel cielo. Di fronte al pittoresco porticciolo si alzano le eccentriche e squadrate forme di Harpa, un centro di cultura che brilla come una perla nera sullo skyline della costa.
Sotto un cielo grigio saturo di minacciosi nuvoloni, prendiamo la strada, al volante di un piccolo fuoristrada che si rivelerà molto utile durante il viaggio. Ci addentriamo verso l’interno del paese fra desolate e verdi brughiere avvolte dalla nebbia, fino ad arrivare a Pingvellir. Qui nacque la nazione islandese, fra queste rocce scure che sembrano tagliate da precisi colpi d’ascia. In basso, battuta dal vento, una verde vallata attraversata da uno zampillante ruscello, e nel mezzo una piccola chiesetta in legno, unico segno della presenza umana. E’ un primo assaggio di quello che ci aspetta, della bellezza pura e selvaggia della natura, così aspra e al tempo stesso incantata.
C’è perfino un museo dedicato al pene, dove si possono ammirare organi di svariati animali sotto cupole di vetro colme di formalina. Una città decisamente originale e spiritosa, dalla tipica atmosfera nordica, fredda nel clima ma calda nella sua gentile e composta ospitalità.
Alla sera, che non diventa mai buia in questo periodo dell’anno vicino al solstizio d’estate, ci rilassiamo a Laugarvatn, un paese che dal numero esiguo di abitazioni sorprende nell’essere definito tale. Ma che ci regala una dolce immersione fra le sua calde acque termali, dentro le vasche di un grazioso ed elegante complesso affacciato sulle placide acque di un lago.
Ancora emozioni ci attendono il giorno successivo. Si manifestano violente al cospetto delle imprevedibili e scenografiche esplosioni dei geyser, che lanciano alto verso il cielo il loro sbuffo improvviso. Sono un assoluto miracolo della natura, un’ode alla sua forza, alla sua fantasia, alla sua strabiliante capacità di stupire. Impossibile non provare un brivido lungo la schiena quando la superficie del pozzo si riempie di immense bolle, preannuncio solenne dell’imminente deflagrare del getto d’acqua: bianche colonne che si dissolvono in polvere e galleggiano nell’atmosfera.
La potenza è invece la principale caratteristica di Gullfoss, una scrosciante e larga cascata che con due balzi rumorosi raggiunge il livello più basso del fiume. Una nuvola di goccioline si alzano nell’aria, incapaci di mantenersi aggrappate alla massa durante il salto, e saturano l’atmosfera di una fresca umidità. E’ uno spettacolo maestoso, un infinito concerto di pura energia. Riprendiamo il cammino con ancora nelle orecchie il rombo potente dell’acqua e affrontiamo la nostra prima pista sterrata. Il cielo plumbeo è sempre basso e minaccioso, ogni tanto qualche scroscio di pioggia irriga il parabrezza dell’auto. Alla fine siamo di nuovo sul mare, che abbandoniamo subito per ammirare l’eterea cascata di Seljalandfoss, che getta dall’alto i suoi fili argentati, così morbidi e ordinati nell’atto di cadere. Abbiamo perfino il privilegio di poter prendere il salto alle spalle, percorrendo un fangoso sentiero che ci introduce nel mondo dei sogni. Un'altra pista sterrata ci riporta all’interno, ci divertiamo a guidare a guadare fiumi, fintanto che un corso d’acqua un po’ troppo consistente ci costringe ad invertire la rotta. Imbocchiamo di nuovo la famosa statale litoranea numero uno, che percorre come un anello l’intero perimetro dell’isola ed approdiamo a Skogar, altro esempio di come il concetto di paese sia alquanto generoso da queste parti. Ancora un dormitorio scolastico trasformato in albergo e ristorante ci regala un tetto e un pasto caldo: molto provvidenziale questa catena dal nome Hedda.
Riposati da un dolce sonno siamo pronti ad affrontare la giornata più faticosa di tutte: oggi abbiamo deciso di camminare. Il percorso parte vicino al mare, dove la cascata Skogafoss compie l’ultimo salto prima di avvicinarsi con calma al suo destino finale. E risalendo oltrepassa la parete rocciosa e ci introduce in un paesaggio fiabesco: morbide distese verdeggianti tagliate da un impetuoso fiume, che si produce in una miriade di scenografiche cascate. Nessuna costruzione umana a rompere l’idillio e là in cima, fra le nuvole, il ghiacciaio che protegge con il suo manto il turbolento vulcano Ejafjallajokull. Soltanto il tempo che passa e una fastidiosa pioggerellina ci inducono ad abbandonare questo luogo incantato, quando ormai il fiume viene inghiottito da profondi canyon dalle pareti ammantate di verdissimo muschio e la neve comincia a macchiare il percorso.
Riprendiamo la strada che ci conduce al cospetto del ghiacciaio Solheimajokull, una lingua bianca sporcata da nera polvere lavica. Il cielo, sempre grigio e basso, completa il quadro, calandoci in un universo in totale bianco e nero. Una signora islandese ci accoglie nella sua graziosa casa a due piani e ci da il benvenuto a Vik, grazioso villaggio di case basse con una pittoresca chiesetta in collina e una lunga spiaggia nera battuta dai venti e dalle onde.
Al mattino accade il miracolo. Appena imbocchiamo la strada, le nuvole nere che ci avevano accompagnato dal nostro arrivo, improvvisamente finiscono, con un taglio netto, lasciando spazio ad un cielo di un azzurro timido. Tutto attorno si susseguono paesaggi surreali: un sandar, distesa di terra scura e acqua, ultimo piatto residuo dell’inondazione seguita all’eruzione di un vulcano; campi di lava ricoperti di morbido muschio; rocce vulcaniche che si crede siano la dimora del popolo nascosto. Fino ad arrivare al cospetto del Vatnajokull, il ghiaccio più esteso del mondo, se si escludono i poli. Ci accompagna per chilometri, con le sue lunghe lingue ghiacciate che scendono in basso attraverso stretti valloni, fino a tuffarsi in placide e scenografiche lagune.
La più bella è quella di Jokusarlon, dove centinaia di iceberg dalle svariate dimensioni galleggiano placidi sul pelo dell’acqua, nella loro lenta marcia verso il vicino mare. Ascoltare in silenzio lo scricchiolio del ghiaccio, mentre gli occhi si posano su questa scena sospesa ed immobile, resa brillante dalla luce bassa del sole, è una di quelle emozioni che valgono l’intero viaggio. E non è la sola della giornata.
Ad attenderci a Hofn c’è uno dei più stupefacenti tramonti a cui abbiamo mai assistito. Il cielo si colora di molteplici sfumature e si specchia nell’acqua del mare, creando un’unica tavolozza di tinte calde e armoniose che vanno dall’infuocato arancione allo sfumato celeste: dopo una gustosa cena e in attesa di un sonno in un grazioso appartamentino, è un biglietto da visita che ci farà restare nel cuore questo affascinante villaggio di pescatori.
E’ il momento di macinare un po’ di chilometri, per spostarci dalla parte meridionale del paese a quella a nord, con la consueta immancabile compagnia di mare e montagne innevate. Ci concediamo solo alcune soste per una bevanda calda e un leggero pasto, in caratteristici paesi costieri sovrastati dal continuo volo dei gabbiani. Il paesaggio continua a mutare: alte pareti a strapiombo rigate da sottili cascate lasciano spazio a immense distese di neve che si trasformano in brulli e bruni altopiani privi di vegetazione. Avanti così fino ad arrivare a Mivatn. Qui ci fermiamo un paio di giorni, in un ordinato campeggio, perché le cose da vedere sono tante e particolari, assolutamente imperdibili. Ma prima di tutto, dopo una giornata di spostamento, ci meritiamo un po’ di relax, ancora una volta immersi in una pozza termale circondata da un nero paesaggio vulcanico.
La giornata seguente inizia con Husavik, da dove si salpa a caccia di balene. Avvistiamo dapprima numerosi buffi pulcinella di mare, piuttosto impauriti dal passaggio dell’imbarcazione. E poi ecco in lontananza uno spruzzo e la lucente schiena di una balena che affiora dall’acqua immobile. In un batter d’occhi gli siamo addosso e possiamo godere della regale nuotata di questo gigante dei mari. Fino a che non appare la sua grossa pinna grigia, che sembra salutare mentre l’animale si inabissa in profondità. Brividi si impossessano della nostra pelle: la forte emozione mischiata con il freddo gelido di questa baia dall’aspetto artico. Ma è solo l’antipasto di giornata: tante altre sorprese ci attendono.
C’è il canyon di Asbyrgi, la cui forma ha alimentato la leggenda che sia stato creato dall’enorme zoccolo di un cavallo; il fragoroso vigore che trasmette la cascata di Dettifoss, un muro d’acqua di feroce potenza e pura bellezza; le strane forme esagonali che escono dalle pareti rocciose di Vesturdalur, create dal mirabile incontro di lava e acqua e da una reazione chimica di raffreddamento subitaneo, che hanno prodotto un immenso organo orizzontale a cielo aperto; la placida e calma serenità di Viti, specchio d’acqua di un intenso verde che riposa sopra il cratere di un vulcano ormai spento.
E a proposito di vulcani, indimenticabile è la passeggiata fra le bocche fumanti di Krafla, in un paesaggio nerissimo di lava solidificata la cui asperità ricordano quelle delle onde che orlano il mare. Non capita tutti i giorni di potersi muovere in un territorio così misterioso e terribile, dove nulla riesce ad avere la meglio di fronte alla superiorità schiacciante di fuoco e pietra. E per finire, ecco le surreali bocche fumanti e ribollenti di Hverir, dove il calore della terra trova sfogo all’esterno cospargendo il terreno di tante pozze infernali, maleodoranti, gorgoglianti. Sembra che le bizzarrie di questo pianeta si siano date appuntamento tutte su quest’isola!
Ritorniamo alla normalità il giorno seguente, con un giro fra piccoli villaggi di pescatori, permeati dal forte odore di pesce, fino a giungere al più pittoresco di tutti: Siglufjordur. Posto ideale dove gustarsi una birra all’aperto, godendo del timido sole che fa capolino fra le nuvole bianche e approfondire la storia locale nel minuzioso museo dedicato all’aringa, la risorsa per eccellenza dell’economia del paese. La discesa verso sud si fa quindi più decisa. Prima però ci sono ancora da ammirare le bellissime abitazioni di Glaumbaer, costruite nella torba per mantenersi calde quando fuori il freddo diventa il peggior nemico. Soffici prati si distendono sui tetti di queste casette a schiera, che nascondono interni spartani e semplici e raccontano di un’esistenza difficile, fatta di duro lavoro, privazioni e tenacia.
Ultimo approdo è il porto di Stykkisholmur, un grazioso villaggio sulla penisola dominata dal ghiacciaio di Snaefellsjokull, quello reso famoso da Verne che lo ha indicato come porta d’accesso al centro della Terra. Fra nere scogliere, fari dai colori sgargianti, continui voli di uccelli e incantevoli calette di sabbia, il pomeriggio scorre via veloce. Ma c’è di più a rendere unica la chiara notte che ci attende: il cielo è incredibilmente sereno, non ci sono nubi, niente di niente se non l’azzurro tipico delle regioni estreme.
E questo si traduce in un sensazionale e interminabile tramonto, con il sole che a mezzanotte è ancora sopra la linea dell’orizzonte, rosso come una palla infuocata, placido come un re nella sua gloria. E’ lo strabiliante epilogo di questo incredibile viaggio. La classica ciliegina sulla torta, l’ultimo di tanti ricordi che rimarranno indelebili nella nostra memoria di nomadi. E che ci hanno fatto profondamente innamorare dell’Islanda, isola capace di stupire e meravigliare. Isola capace di regalare forti emozioni fra le sue terre selvagge e inospitali. Isola capace di stregare.
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