Ottobre 2006
Il Vagabondo
Numero 1 Anno I
pensieri vagabondi su viaggi, letteratura, cinema, musica e tutto ciò che ci passa per la testa
Cinema
The Road to Guantanamo
L'orrore della realtà spesso supera la fantasia
Dall’anonima provincia inglese all’assolata Cuba passando per il caotico Pakistan e un Afghanistan alla vigilia dell’attacco americano. A sentire le mete toccate da questo girovagare, si potrebbe quasi provare invidia per questi quattro ragazzi anglo-pakistani, ma il loro peregrinare si rivelerà tutt’altro che piacevole. Siamo dalle parti del cinema civile, quello che racconta verità scomode e spesso taciute, storie che danno fastidio e di cui si preferirebbe non venire a conoscenza. Ma la realtà, per quanto possa destabilizzare, va sempre raccontata, portata in superficie e quindi il nostro grazie di cuore a Micheal Winterbottom, regista inglese rigoroso e impegnato, che ci trascina fra le brutture della guerra prima e del carcere poi.
La storia prende avvio da una grigia cittadina inglese; a Tipton, Birmingham, sono cresciuti e vivono ormai da molti anni quattro ragazzi pakistani, ragazzi normali con i loro sogni, le loro aspettative e le loro difficoltà. Il primo spostamento è quello verso il Pakistan, dove uno dei quattro si reca per conoscere la sua futura sposa e gli altri lo raggiungono per festeggiare con lui il matrimonio. Il cambio di atmosfera è brusco, fatto di chiasso, traffico indiavolato, mezzi di trasporto vecchi e fatiscenti, polvere, barbe lunghe e lunghe vesti. E’ la parte più vitale e allegra del film; i quattro ragazzi si lanciano alla scoperta del loro paese natale con occhi curiosi e allegria, adattandosi con spirito vagabondo a uno stile di vita che avevano abbandonato anni addietro. Quello che cambierà per sempre le loro vite è però il secondo spostamento verso un Afghanistan ormai prossimo a subire l’invasione statunitense. Dopo aver ascoltato un accorato appello dentro una moschea, i quattro sono decisi: andranno nel vicino paese a portare aiuto alle persone in difficoltà. Una causa nobile e coraggiosa che non avrà la giusta ricompensa. Il viaggio verso il paese afgano è faticoso: distanze immense, scenari grandiosi e desertici, autobus stracarichi di persone, rumori e odori. Un’odissea che termina con l’arrivo a una frontiera affollata e caotica proprio come un mercato; il suo attraversamento così semplice e immediato, striderà con il proseguo del viaggio. Infatti addentrandosi sempre più all’interno del territorio, la strada da percorrere diventerà sempre più ardua; esplosioni, urla, desolazione e paura confusa immergono i quattro ragazzi in un ambiente allucinato, spingendoli verso situazioni sempre più assurde e complicate. Ultima delle quali l’arresto subito da parte delle truppe dell’Alleanza del Nord, perché considerati Talebani: una beffa terrificante per chi era partito armato solo delle migliori intenzioni.
E il viaggio diventa incubo.
Chiusi in un container i tre (perché nel frattempo di uno di loro si sono perse le tracce durante una delle tante fughe) sono sballottati per il paese, in condizioni disumane e degradanti, senza luce, cibo, acqua; ma il peggio deve ancora venire. E si manifesta sotto forma del terzo spostamento, su un aereo militare americano, destinazione Cuba; sembrerebbe il paradiso ed invece quello che si gli si materializza davanti è un vero e proprio inferno sulla terra, un inferno chiamato Guantanamo. Gabbie a cielo aperto, disprezzo, torture fisiche e psicologiche, accuse infamanti e fasulle, tutto questo si concretizza di fronte ai loro occhi ormai esausti; ma la loro innocenza li fa resistere a ogni infamia, con una dignità che non appartiene ai loro squallidi aguzzini; e finalmente arriva il premio; dopo due anni di insensata prigionia il cerchio si chiude: si ritorna a Tipton. Il viaggio effettivo e quello interiore dei protagonisti si concludono con la consapevolezza che non saranno mai più le stesse persone.
Quando si accendono le luci in sala, la reazione generale è un mutismo molto esplicito e rumoroso; il colpo inferto dalle immagini è potente e riesce quasi difficile da credere che esistano luoghi dove le persone subiscono trattamenti tanto degradanti senza nemmeno aver ricevuto un processo, una condanna ma solo su una presunzione di colpevolezza o un’appartenenza a una determinata razza, religione, credo politico. Un attentato alla libertà e alla dignità di essere uomini, esportata fra l’altro da un paese come gli Stati Uniti che si definisce da sempre culla di valori, che fa riflettere e mette angoscia. Non ci resta che uscire dal cinema e ritornare alle nostre vite, con l’imperativo di non dimenticare, di essere testimoni, di gridare sempre forte di fronte a ogni ingiustizia. Il buon cinema può riuscire a fare anche questo!