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Ottobre 2006

Il Vagabondo

Numero 1 Anno I

pensieri vagabondi su viaggi, letteratura, cinema, musica e tutto ciò che ci passa per la testa

Viaggio del mese

Riviera Maya

Il Paradiso esiste, ma è davvero senza peccato?

Che il paradiso esista, ne ho avuto prova la scorsa estate: un luogo da sogno, una meravigliosa spiaggia caraibica, fatta di sabbia candida, palme e barriera corallina... solo a ripensarci vorrei tornare, partirei ora per rimettere piede sulla Costa Maya messicana! Svegliarsi al suono delle onde e dei gabbiani, scendere a fare il primo bagno in acque tiepide, limpide e tranquille, passeggiare lungo la battigia per centinaia di metri, sono davvero il miglior modo di cominciare la giornata. La quiete e la serenità s’impadroniscono dolcemente dello spirito e ci accompagnano per tutto il dì… abbiamo ancora un paio di giorni da goderci su queste spiagge fatte di conchiglie, e nulla può intaccare l’incanto che ci circonda. 

Ci dedichiamo per un po’ solo all’ozio ed all’abbronzatura, magari ripensando alla sera appena trascorsa a guardare le stelle di un cielo senza luci: una grande trovata, quella di eliminare ogni fonte di illuminazione artificiale verso mezzanotte, che ci ha messo in contatto diretto con la natura. Sdraiati su amache o seduti su una palafitta come fiori di loto, i nostri soli contatti col mondo erano una leggera brezza che ci sfiorava la pelle, il fruscio delle palme, la voce del mare ed il suo profumo avvolgente... La calma qui sembra essere una costante: perfino i camerieri se la prendono comoda, palesando la reale differenza di ritmi rispetto alle nostre abitudini, un’assenza di stress che ci lascia quasi increduli! E così una placida armonia permea il nostro spirito mentre sorseggiamo un paio di cocktail, mollemente appoggiati sulle sdraio rivolte verso il mare! Dopo un giro del paese in cerca degli ultimi souvenir e di un po’ d’erbetta per la serata, raggiungiamo le rovine maya e ne restiamo affascinati, non tanto per i resti in sé, quanto per la loro posizione: siamo su un tratto di costa alta, a picco su due spiagge che lasciano senza parole. La presenza di una simpatica iguana fra i bagnanti e di giganteschi pellicani che pescano indisturbati completano la scena: comunque si guardi questo posto, dal mare o dalla costa, l’unica cosa che riesco a pensare è di essere finalmente giunta in paradiso!

Chichen Itza

Purtroppo  devo  in   seguito  rendermi  conto  del  lato oscuro di questi luoghi di per sé perfetti: risalendo la Costa in macchina è impossibile vedere il mare. Forse per una legge che tuteli la bellezza delle rive? No, sarebbe troppo dignitoso: qui tutto è stato cintato dai proprietari degli enormi e mostruosi resort affollati da benestanti turisti occidentali. Km di reti e filo spinato corrono paralleli alla strada, interrotti ogni tanto dai faraonici ingressi dei villaggi, che raffigurano tutti gli stereotipi immaginabili: finte capanne, finte piramidi precolombiane, finto legno, finta roccia... solo il limite invalicabile e l’orrore di fronte a questi eco-mostri è vero. Ma cosa ne pensa la legislazione messicana? Pare che sia inviolabile il diritto per ogni persona di raggiungere la spiaggia e di goderne, per cui dovrebbe essere legittimo attraversare queste proprietà private, passando per il portone principale. Eppure questo non sempre accade: proviamo a valicare il limite percorrendo una via secondaria e ci ritroviamo di fronte ad una guardiola di controllo, due messicani in divisa ci sorridono ed in breve siamo sul bagnasciuga, ma qualcosa non và. Ci rendiamo conto di essere circondati in ogni direzione solamente da bagnanti bianchi. Non un messicano, né tanto meno un indio, passeggia sulla sabbia o si sdraia sotto un ombrellone di paglia. Al massimo li troviamo presso un chiosco a rifornire di pinne, maschere e boccagli i danarosi turisti europei e statunitensi... ma è possibile che loro non si sentano attratti dalla spiaggia? Perché non ci sono bagnanti autoctoni? La risposta è molto triste e la scopriamo sulle nostre guide: ai messicani viene spesso proibito l’ingresso, la legge istituzionale viene violata, affinché sia rispettata quella del guadagno e del pregiudizio di chi non crede sia bello vedere persone di diversi colori (e portafogli) divertirsi insieme. É amareggiante, eppure è così. Gli unici messicani in spiaggia li incontriamo sulla via dell’aeroporto, l’ultimo giorno del nostro viaggio, quando decidiamo di fare tappa a Puerto Morelos: un paesino costiero che non è stato ancora raggiunto dall’ondata anomala del turismo di massa, e che per questo presenta solo caratteri autentici e il rispetto delle libertà dei suoi abitanti. Intere famiglie si rilassano sulla sabbia, mentre bambini e ragazzi giocano a pallone o nuotano fra colorati pesci e scure alghe... forse proprio queste ultime sono la ragione dell’assenza dei soliti turisti, infatti sono abbondanti sia in acqua che sulla riva ed emettono un profumo non troppo gradevole. Ma per noi la loro vista si trasforma in un respiro di sollievo: esse rappresentano l’ultima difesa naturale sia per il paesaggio (che non viene sfregiato da inquietanti architetture post-moderne), che per le persone, per i cittadini di una nazione che troppo spesso li dimentica.

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