Ottobre 2006
Il Vagabondo
Numero 1 Anno I
pensieri vagabondi su viaggi, letteratura, cinema, musica e tutto ciò che ci passa per la testa
Viaggio del mese
Sud del Messico, nella terra dei Maya
Una spiaggia semideserta, un cielo plumbeo e livido, una serie di barchette ormeggiate sulla riva e un’atmosfera un po’ decadente, sono queste le ultime immagini di un viaggio che ci ha regalato emozioni e meraviglie, divertimento e riflessioni. Siamo a Puerto Morelos, pochi chilometri sotto a Cancun e ormai il tempo a nostra disposizione sta terminando; c’è ancora spazio per un ultimo spuntino a base di insalata e quesadillas e poi sarà ora di raggiungere l’aeroporto, il nostro volo per l’Italia ci attende, inesorabile.
Due settimane sono trascorse da quando abbiamo volato in direzione opposta verso un Messico, anelato da mesi e finalmente lì a portata di mano; due settimane trascorse raminghe lungo le strade del sud del paese, per un totale di più di 3000 chilometri percorsi e quattro regioni attraversate, Quintana Roo, Yucatan, Campeche e Chiapas. I ricordi che ci portiamo dietro e che andranno ad arricchire il nostro bagaglio vagabondo sono innumerevoli, fatti di rovine Maya e sguardi di bambini, città coloniali e natura florida e selvaggia, mare cristallino e villaggi di baracche e fango.
Ma a farci compagnia ci penseranno anche le persone, come il bizzarro americano appassionato di rettili che ci trascina in una grotta ad osservare da vicino un serpente a sonagli che dorme in un incavo della parete o i socievoli abitanti di Merida che ci abbordano per strada e ci investono di parole che materializzano attaccamento alla loro storia e tradizione e profonda avversione per i vicini di casa americani. Proprio a Merida, facciamo l’acquisto migliore del viaggio, una splendida amaca di iuta, necessario prodotto tipico di chi fa della siesta una religione di vita. Una strada diritta e un cielo scuro ci danno il benvenuto in Chiapas, il paesaggio comincia a cambiare, il clima è sempre umido; arriviamo a Palenque di notte, con una pioggia insistente a scortarci, ma la sensazione è quella di essere arrivati in un posto mitico; dormiamo in una cabaňas, circondati dal verde lussureggiante della giungla e protetti dalle maglie fitte di una zanzariera che avvolge il letto come una splendida ragnatela. Palenque mantiene ciò che promette, il sito è meraviglioso, con costruzioni imperiose ed eleganti avvolte da un verde quasi accecante e rigoglioso, ma anche la sua atmosfera bohemien ci conquista e ci contagia.
Esattamente quattordici giorni fa siamo atterrati a Cancun, erano le due di notte e ad attenderci i nostri due compagni di viaggio, arrivati qualche ora prima, una macchina noleggiata e una stanza vista Mar dei Caraibi. La mattina seguente dopo aver salutato il mare, che non rivedremo fino agli ultimi giorni del viaggio, con una tranquilla colazione a base di uova e fagioli, saltiamo in macchina e partiamo… inizia la scoperta. I primi giorni sono di ambientamento, visitiamo i primi siti archeologici, Chichen Itza e Uxmal, le prime città coloniali, Merida e Campeche, ma soprattutto cominciamo a fare nostro lo stile di vita messicano, fatto di incontri e chiacchiere, cibi piccanti e tequila, ritmi lenti e sudore. In effetti è proprio il clima a donarci una delle prime sensazioni, intrisa di sole e umidità, nuvole e improvvise piogge torrenziali. A Chichen Itza ci tocca scappare sorpresi da uno di questi acquazzoni tropicali tanto violenti quanto brevi ed effimeri. Bagnati dalla testa ai piedi, impregniamo l’auto di un odore di umido che ci farà compagnia per quasi tutto il viaggio.
Inoltrarsi per il Chiapas si rivelerà una serie continua di piacevoli scoperte. Cammineremo come quattro folli per un fangoso sentiero addentrandoci sempre più in una giungla fitta e sconosciuta fino a provare il brivido della paura per l’ignoto che ci avvolge e incontreremo gli ultimi fieri Lacandoni a Lacanja, dove si sono ritagliati un angolo di mondo tutto per loro. Affronteremo le vie polverose e contornate da file di fatiscenti baracche colorate di Frontiera Corozal alla ricerca di un telefono e di un posto per la notte e navigheremo sulle torbide e agitate acque del Rio Usumacinta, fiume frontiera fra Messico e Guatemala, per sbarcare a Yaxchilan, sito stupendo,
Il ritorno al presente è però altrettanto piacevole e si manifesta nelle vie acciottolate e nelle casette colorate di San Cristobal de las Casas, vero e proprio crocevia del nostro viaggio. Qui ci fermiamo tre notti, rallentiamo i ritmi, ci rilassiamo e cominciamo a somatizzare il nostro vagabondare. Qui entriamo in contatto con le idee zapatiste, le idee di un mondo migliore e di un mondo per tutti. Qui, a oltre duemila metri di altezza, asciughiamo le nostre ossa, immergendoci anima e corpo nella vita cittadina, fra chiese colorate, artigianato di ogni tipo e locali pieni di musica e tequilas.
raggiungibile solo via fiume e immerso fra alberi giganteschi e ruggiti di scimmie urlatrici. Fremeremo per i posti di blocco dell’esercito sulla strada che costeggia il confine col Guatemala e per la benzina comprata in villaggi sperduti, unica alternativa al rimanere appiedati in mezzo al nulla. Ci stupiremo di fronte alla confusione di un messicano bello ciucco che ricorda di un certo Papa chiamato Mussolini e ci addormenteremo alle dieci di sera, circondati soltanto da oscurità e silenzio. Due giorni mitici, intensi, lontano dalla civiltà e a stretto contatto con una realtà rurale genuina e accogliente, un mondo nuovo, insolito, fuori dal tempo nel quale però ci siamo sentiti subito a nostro agio.
E a pochi chilometri da San Cristobal, in un paesino immerso nel verde della montagna e dei campi di mais, San Juan Chamula, viviamo uno dei momenti più intensi e stordenti dell’intero viaggio. Sensazioni difficili da tradurre in parole, immagini che ci rimarranno per sempre scolpite nella memoria; come quella di donne e bambini che cingono d'assedio la nostra macchina alla ricerca di qualche pesos, o di gente che prega mischiando misticismo cristiano e credenze indigene, o ancora di persone che mi sservano con sguardi seri e pieni di dignità mentre vago per il paese immerso nei miei pensieri. Una piccola crisi che ci spinge a cercare la solitudine, il confronto con se stessi, l’isolamento interiore ed esteriore fino a che una dolce india di nome Rosa, ci riporta sulla terra con il suo sorriso contagioso e la sua simpatia innocente.
Ma è tempo di ripartire, incomincia la strada del ritorno; con un brusco volo verso il basso, abbandoniamo le montagne e ci rituffiamo nella giungla; un percorso di circa 200 infiniti chilometri, fra paesini zapatisti, curve, traffico, campi di mais e topes, percorsi al rallentatore per un totale di quasi 5 ore di viaggio. I piani saltano, il buio ci coglie di sorpresa, tocca fermarsi; e all’orizzonte ecco apparire Escarcega, una città di transito, territorio di camionisti e taverne, di hotel e pompe di benzina; non c’è altro da fare che bere tequila fino a scoppiare. La mattina arriva insieme al puntuale mal di testa, ma non c’è tempo da perdere, la costa ci aspetta.
E così si conclude il viaggio, fra mare cristallino, sabbia bianca e finissima, capanne sulla spiaggia, barriere coralline e relax; dopo tanti chilometri percorsi e tante emozioni accumulate, è arrivato il momento di tirare un po’ il fiato e le somme del nostro vagabondare. Tulum è il luogo ideale, tranquillo, lontano dalle folle di vacanzieri, silenzioso; cieli stellati e il dolce suono delle onde marine ci avvolgono con la loro semplice naturalezza, siamo in paradiso. Solo il tempo che passa inesorabile ci riporta alla realtà, il nostro viaggio è ormai terminato; nella memoria resteranno momenti indimenticabili, vissuti con entusiasmo e smisurata passione, e una voglia di tornare ancora a camminare vagabondi per questi territori così ospitali e affascinanti. Gracias Mexico, de todo.