Novembre 2006
Il Vagabondo
Numero 2 Anno I
pensieri vagabondi su viaggi, letteratura, cinema, musica e tutto ciò che ci passa per la testa
Viaggio del mese
CPT
Moderni lager in suolo italiano?
L’utopia della pace fra i popoli: sarà realizzabile? Sicuramente no, se prima non verranno modificate le leggi che regolano i movimenti delle persone fra i vari paesi. Il buon senso mi fa credere che non dovrebbero esserci limiti alla libertà di ciascuno di vagabondare per il mondo e di poter scegliere in quale angolo di esso fermarsi e piantare le proprie radici: siamo tutti cittadini di questo pianeta, dovremmo quindi avere gli stessi diritti su di esso, senza limiti né confini. Ma non tutti sembrano pensarla così: basti considerare ciò che viene definito “il problema” o peggio “la piaga dell’immigrazione”. Stiamo parlando del flusso costante, ed in costante aumento, di persone provenienti da paesi poveri, lacerati da guerre e carestie, uomini e donne disperati che abbandonano le proprie famiglie e le realtà in cui sono nati e cresciuti, nella speranza di trovare uno spazio sicuro nel nostro piacevole occidente.
Sono esseri umani pronti a rischiare la propria vita per realizzare questo sogno, che per molti è l’unica speranza di sopravvivenza; il loro viaggio può durare dei mesi, in condizioni miserabili, nelle mani dei trafficanti che li spostano da camion a container, da uno scantinato all’altro, nel buio, nel terrore e nella violenza, fino magari all’agognato porto libico dal quale salpare su un relitto galleggiante, sempre nella speranza che questo non affondi... Giunti alla meta, magari in Italia, stanchi, soli ed affamati, probabilmente non capiranno la nostra lingua, quasi sicuramente saranno privi di denaro e documenti, giacché i trafficanti di esseri umani li avranno ripuliti di entrambe le cose; ...che gli accadrà?
Come suggerisce Erri de Luca, “andrebbero accolti sulle spiagge con le sirene delle navi e dalla folla in festa come all'arrivo di un giro del mondo”, invece si troveranno di fronte alla dura legislazione italiana, all’attuale Bossi-Fini o n.189 del 2002. Appena sbarcati verranno inseriti all’interno di un Centro di Identificazione o di un Centro di Permanenza Temporanea, poco cambia; qui alla quasi totalità di loro verrà consegnato un decreto d’espulsione, senza che gli venga spiegato cosa stia accadendo, né tantomeno gli sia assicurato il diritto di accedere alla procedura di richiesta d’asilo politico ...provate ad immaginare gli sguardi, i pensieri e le emozioni di quelle persone. Tanto più che, secondo il ministero dell’Interno, l’aspetto dei centri dovrebbe essere all’incirca questo: formato da tre spazi separati secondo le diverse funzioni dei blocchi (il primo come anticamera per i controlli e le perquisizioni, il secondo sede degli uffici, del personale e delle forze dell’ordine, il terzo utilizzato per il trattenimento degli “ospiti” formato da camerate e attigui servizi igienici), accanto ad essi un campetto da calcio e tutt’intorno un muro perimetrale alto almeno tre metri, sormontato da una rete metallica (o filo spinato), circondato da telecamere di sorveglianza e da un impianto d’illuminazione. La permanenza forzata durerà fino ad un massimo di due mesi, termine entro il quale saranno rimpatriati o rilasciati, con l’obbligo di abbandonare il paese entro cinque giorni, pena l’arresto per reato di clandestinità (punibile col carcere fino a sei mesi).
All’interno del Centro la vita non è semplice, ed anche se le informazioni su quanto vi accade non sono molte, poiché non vi è mai stato ammesso alcun giornalista, i rapporti stilati dalle associazioni umanitarie Medici Senza Frontiere ed Amnesty International parlano chiaro ed esprimono forti preoccupazioni. Le condizioni di alloggio sono spesso inadeguate (sono stati riconosciuti casi di sistemazioni in container, come accade permanentemente a Torino, o casi di sovraffollamento, come ogni estate a Lampedusa), le condizioni igieniche carenti, il cibo scadente o insufficiente; le forniture di lenzuola e biancheria mancano, né esistono reparti separati per categorie vulnerabili o forme di assistenza psicologica e psichiatrica, mentre abbondano le prescrizioni di sedativi e tranquillanti. Anche il servizio di assistenza legale è inadeguato, sono stati riscontrati casi di trattenimento illegale di minori non accompagnati o di donne incinte, e molti casi di violenze ad opera delle forze dell’ordine, nelle forme di abusi di matrice razzista, aggressioni fisiche ed uso eccessivo della forza.
La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite si è espressa in proposito dei Centri d’Identificazione e di Permanenza Temporanea italiani, affermando preoccupazione per il rispetto dei diritti umani e ritenendo che la costruzione di nuovi centri non sia la soluzione per l’immigrazione illegale. E c’era bisogno del parere dell’ONU per rendersene conto? Cosa aspettiamo a smantellarli? Non è vergognoso aver creato e continuare a mantenere in funzione luoghi di segregazione come questi? Luoghi in cui noi rinchiudiamo, tutti i giorni, esseri viventi che ci chiedono solo il diritto di vivere nell’ “occidente” perché questa è la parte del mondo in cui le condizioni esistenziali sono migliori. Uomini e donne che non hanno commesso alcun crimine, a parte l’aver tentato di attraversare il mondo per darsi una vita migliore o sopravvivere alle realtà d’origine. Mi sembra evidente che l’integrazione sia l’unica possibile “soluzione” al “problema dell’immigrazione”, immaginando un mondo futuro di coesistenza pacifica, di profondo rispetto per il nostro prossimo e vivo interesse per le differenti culture e conoscenze, che non intaccheranno la nostra identità di europei (o statunitensi, è lo stesso), ma l’arricchiranno, così come è sempre stato nei secoli passati ed è bellissimo che continui ad essere.