Il Vagabondo
Gennaio - Febbraio 2014
Numero 32 Anno IX
pensieri vagabondi su viaggi, letteratura, cinema, musica e tutto ciò che ci passa per la testa
Viaggio del mese
Sfruttamento minorile
Bambini privati dell'infanzia: un'abitudine che non conosce fine
Li avevamo incontrati la prima volta in Chiapas: erano silenziosi ai bordi delle strette strade di montagna, intenti a fermare con una cordicella le rare auto di passaggio, oppure erano sciami colorati sparsi fra la folla del mercato di San Juan Chamula e portavano con sé stoffe, cinture e bracciali intrecciati. Li abbiamo ritrovati in altri paesi, più o meno sorridenti, tristi, insistenti, giocosi o distratti, ma sempre per strada in cerca di chi gli può regalare una moneta, un frutto, una matita o una caramella...
Sono i bambini, figli di società in difficoltà, di paesi che non sanno difenderli e prendersi cura di loro. Il problema dello sfruttamento dei minori colpisce, secondo recenti stime dell’Unicef, almeno 150 milioni di bambine e bambini fra i cinque e i quindici anni, di cui la metà impiegati
in forme di lavoro pericoloso, come il lavoro in miniera, oppure a contatto con sostanze chimiche, pesticidi agricoli o macchinari. E’ un fenomeno concentrato soprattutto nelle zone più povere del pianeta, anche se non mancano casi nelle aree marginali del “nord del mondo”, ovunque ci sono miseria ed ignoranza, di cui ogni forma di sfruttamento è figlia. Nei Paesi in via di sviluppo, molti bambini sono costretti a lavorare perché sono orfani o perché devono sostenere il reddito familiare; per le bambine la situazione è ancora più pesante, perché oltre a lavorare fuori casa spesso devono occuparsi dei lavori domestici e della cura dei fratellini più piccoli, arrivando a rinunciare completamente alla scuola. Il lavoro minorile è considerato accettabile solo se avviene in forme leggere, senza rischi per la salute psico-fisica, l’istruzione e lo sviluppo dei bambini. Una delle sue forme più estreme è la prostituzione, della cui violenza sono vittima almeno un milione di innocenti ogni anno, spinti dalla povertà, dalla possibilità di guadagni relativamente alti e facili, o da famiglie con gravi problemi di violenza, alcolismo e tossicodipendenze, da cui talvolta fuggono diventando facili prede per ogni abuso.
Le aree del mondo più afflitte da questa piaga sono i Caraibi, il Sudest asiatico e l’America Latina, in particolare Thailandia, Cambogia, India, Brasile e Messico, dove un terzo di coloro che si prostituiscono sono bambini, offerti sia al vasto mercato interno che alle richieste del sempre più fiorente turismo sessuale. Quest’ultimo vede protagonisti viaggiatori dal Nordest asiatico, Australia, Europa e Nord America che si muovono attraverso vere e proprie agenzie di viaggi specializzate, le quali propongono fra le tendenze più recenti le cosiddette “spedizioni di pesca nella zona interna amazzonica”. Il giro d’affari è altissimo e comprende anche il traffico di esseri umani, di cui il 70% è proprio a scopo di sfruttamento sessuale; ricordiamo ad esempio il caso della compravendita di vergini in Cambogia verso paesi più ricchi quali Corea, Malesia, Thailandia e Stati Uniti.
Rientra infine fra le forme di sfruttamento minorile anche quella che abbiamo rincontrato durante l’ultimo viaggio proprio in Cambogia: il lavoro di strada, cioè l'impiego di tutti quei bambini che, visibili lì come nelle metropoli e nelle zone turistiche asiatiche, latinoamericane e africane, cercano di sopravvivere raccogliendo rifiuti da riciclare, vendendo cibo e bevande o mendicando. Li abbiamo visti pulire le spiagge trascinandosi appresso sacchetti di plastica più grandi di loro, tentare di vendere cartoline o il proprio sorriso per una foto fra i templi, acqua e birra sul lungofiume di Phnom Penh, tendere la mano ripetendo poche parole in inglese come una cantilena. Vivono in strada e vendono, ed è a suo modo bello osservarli quando si distraggono, come fa ogni bambino, interrompono le loro faccende e s’incantano ad osservare qualcosa o qualcuno, con gli occhi curiosi e avidi d’imparare il mondo. Vivono in strada e mendicano, e vengono iniziati a questa triste arte sin da piccoli, da quando ancora in fasce sono utilizzati come esche per ottenere offerte, mostrati seminudi dalle proprie madri o più frequentemente da donne che li comprano a questo scopo. E così può capitare di essere avvicinati da un’apparente mamma in miseria che non chiede soldi, ma solo l’acquisto di un po’ di latte per la creatura che tiene tra le braccia, e che è già d’accordo con il lattaio per fare a metà di quanto la vittima così intenerita spende per aiutarla.
Difficile non giudicarli, uomini e donne che trasformano in merce e schiavi quanto il genere umano ha di più caro, cioè il futuro di se stesso. Difficile superare il sentimento di disprezzo che queste storie generano, per gettare uno sguardo sulle condizioni che le causano: povertà, ignoranza e conseguenti violenze domestiche, male abitudini che si perpetuano nel tempo, di generazioni in generazione, specie ora che il turismo di massa porta con sé maggiori possibilità di facili guadagni. Sempre più spesso fioriscono business sullo sfruttamento, e così andrà avanti finché ci saranno profitti. Il gesto caritatevole dell’elemosina, che nasce dal cuore ed è figlio di ogni religione come dell’etica, è completamente distorto e trasformato in qualcosa di orribile e terribile, capace di renderci complici degli aguzzini e parte attiva del loro gioco. Possiamo fare qualcosa? Nel nostro piccolo si,
scegliendo di non alimentare con i nostri soldi alcuna forma di sfruttamento, informandoci su quali associazioni lavorano sul territorio per proteggere i giovani e le famiglie in difficoltà e aiutandole con donazioni o acquisti dei loro servizi. Ad esempio noi, già in passato avevamo scelto a Lima di pernottare nella struttura di un’associazione (Ceprof) che tiene i bambini e i giovani del quartiere lontano dalla strada, offrendo loro spazi per il doposcuola, un pasto ed aiuti nell’istruzione. In Cambogia abbiamo pranzato e cenato in locali gestiti da Friend, un’associazione che utilizza il ricavato per insegnare ai giovani l’arte della ristorazione, dal servizio ai tavoli alla cucina, offrendogli una concreta possibilità d’inserimento nel mondo del lavoro. Abbiamo acquistato gran parte dei souvenir in negozi di bellissimo artigianato locale che occupano persone ai margini della società, aiutandole a sostentare le proprie famiglie. E ci siamo affidati ad un tour operator etico per trascorrere una giornata fra i campi e conoscere in modo diretto la vita nelle campagne: con i proventi vengono offerti aiuti alimentari e – più importante – aiuti concreti nelle faccende quotidiane. Con loro i turisti riparano e costruiscono case in legno e foglie di palma, arano, seminano e – come è capitato a noi – falciano riso, offrendo un po’ di sudore e ricevendo in cambio un grazie ed un sorriso che non hanno prezzo. Vedere i bambini giocare all’aria aperta fra i campi e le galline, vederli spensierati e sereni, ci fa capire che, impegnandoci tutti, la piaga dello sfruttamento minorile si può curare, attraverso una maggiore consapevolezza e concrete forme d’aiuto per risolvere la carenza di lavoro che genera la povertà, madre di ogni male.